di John Sebastian Moran, jr.
Gli stoppini delle candele annegavano
ormai in laghi di cera, e il fuoco nel camino si era ridotto ad un cupo rosseggiare di braci.
Moran sospirò di soddisfazione e si versò un ultimo bicchiere di vino. La cena era stata ottima, il
vino di suo gusto, e la compagnia era stata... beh, per lo meno fuori dall’ordinario.
Non che i suoi compagni abituali potessero rientrare nella definizione di “ordinario”.
Lanciò uno sguardo ad Ice, che sedeva a capotavola, dirimpetto al loro cupo anfitrione. Il
cappuccio del mantello scuro, tirato indietro, gli ricadeva sulle spalle larghe, e la luce delle
candele che gli danzava sul viso faceva risaltare i tratti decisi, il naso aquilino e i profondi
occhi nocciola. Ancora più imponente era l’aspetto di Fëaringel, i cui bellissimi tratti
elfici, la statura, notevole per la sua razza, e i lunghissimi capelli, neri come l’ala di
un corvo, che gli ricadevano sulla schiena, attiravano irresistibilmente lo sguardo persino di
avventurieri incalliti, quali erano quelli che sedevano a tavola con loro quella sera.
Alla destra di Ice, Reg stava finendo di spolpare un enorme cosciotto di cervo, leccando spesso il
sugo denso che gli colava sulle dita. Non era certo un damerino, questo individuo magro, dal mento
sfuggente, la pelle giallastra e un’espressione equivoca negli occhi cerulei. Ma c’era
qualcosa nelle sue movenze feline tale da mettere subito in guardia un uomo che sapesse vedere al
di là delle apparenze. Quando era stato presentato a Moran prima della cena, gli aveva strizzato
l’occhio con aria complice, mentre gli stringeva la mano, e gli aveva affibbiato con
disgustosa familiarità una pacca sulla spalla. Lo scassinatore aveva avuto la sgradevole
impressione che quel tizio sapesse un po’ troppe cose sul suo conto, per prendersi tutta
quella confidenza, come se si fossero conosciuti da sempre. E sul fatto che che Reg facesse parte
di qualche Gilda dei Ladri, Moran era disposto a scommetterci la mano destra con anelli e tutto.
Seduto tra Ice e Moran, di fronte a Reg, Bolan finiva in silenzio il suo vino. Il gigantesco uomo
d’arme, dai capelli color stoppa tagliati corti, vestito di una cotta di maglia
d’acciaio nera, non aveva pronunciato dieci parole in tutta la serata. Era totalmente agli
antipodi, non solo come posizione, del chiassoso Nano che sedeva all’altro capo della
diagonale del lungo tavolo di quercia, di fronte a Fëaringel e alla sinistra del loro anfitrione.
Fenwick - un nome curioso per un Nano, seppure dei Clan del Nord - era a prima vista, sotto ogni
apparenza, il tipico rappresentante della sua razza: allegro conversatore, gran mangiatore, era
già alla sua sesta o settima pinta di birra, che intercalava tra un bicchiere di vino e
l’altro. Naturalmente, Fëaringel lo aveva detestato fin dal primo momento, anche se il Nano
non aveva dato segno di accorgersi dell’ostilità racchiusa nello sguardo gelido
dell’Elfo - che era ampiamente prevedibile, del resto - ; ma, cosa strana, neanche Moran, di
solito grande amico dei Nani, riusciva a provare simpatia per Fenwick. Gli sembrava di percepire
qualcosa di sbagliato nei modi del Nano: il suo abbigliamento, pur lussuoso come si conviene ad un
Nano facoltoso, era troppo raffinato, la sua simpatia per tutti, persino per l’Elfo, era
troppo ostentata, nella sua risata risuonava una nota falsa. E non contribuivano certo a schiarire
l’atmosfera equivoca che gli aleggiava intorno le sue curiose osservazioni sul culto cui si
era recentemente convertito, un’oscura adorazione della natura, per la quale
“rimpiangeva solo di aver dovuto rinunciare alla sua ascia”. Non sembrava proprio
tipo da darsi alla carriera ecclesiastica.
Tra Fenwick e Reg, proprio di fronte a Moran, sedeva Azlea. La giovane guerriera indossava una
cotta di anelli d’acciaio brunito e un semplice mantello rosso scuro, ma anche senza
ornamenti il suo volto e la sua figura, alla luce delle candele, erano decisamente attraenti,
per niente guastati dall’aria di decisione e di forza che trasparivano dai profondi occhi
scuri. La ragazza era stata molto gentile e dai modi amichevoli quando gli era stata
presentata, ma Moran aveva chiaramente percepito una volontà d’acciaio sotto il fascino
esteriore di lei, ed era certo che in circostanze rischiose avrebbe potuto essere una
preziosa alleata... o una temibile avversaria.
Nel corso della serata, ognuno aveva raccontato qualche impresa che lo aveva visto protagonista.
L’unica a mancare all’appello era proprio Azlea, che, sollecitata dal loro anfitrione,
stava iniziando a parlare proprio in quel momento. Moran sorseggiò il suo vino e si dispose ad
ascoltare.
- Dunque, questa è un’avventura che mi è capitata proprio mentre stavo arrivando qui al
castello. È un racconto che potremmo chiamare “La frustrazione del Nano”.
Fenwick si sporse in avanti, con un’espressione interessata sul volto. - “La frustrazione
del Nano”? Che significa?
Lei gli rivolse un sorriso angelico, e disse: - Se mi lasci continuare, capirai ben presto.
- Allora - proseguì lei, girando lo sguardo intorno per la tavola, - come vi ho detto, ieri
pomeriggio ero diretta qui e cavalcavo sul fondo di una valle qua vicino. La giornata era
piacevole, c’era un bel sole, il panorama era splendido e io non avevo fretta, e mantenevo
il cavallo al piccolo trotto. Ad un tratto, sento rumore di zoccoli dietro di me...
- Bene, bene! - esclamò il Nano, già pregustando la descrizione di una bella scena di battaglia.
- ... mi volto, e ti vedo due cavalieri che arrivano al galoppo. Erano dei ragazzotti, poco più
che adolescenti, e a giudicare dalle vesti e dai finimenti delle cavalcature probabilmente figli
di qualche signorotto o di qualche ricco commerciante della zona. Bene, mi passano accanto al
galoppo e mentre mi sorpassano, uno dei due mi lancia uno sguardo, come se volesse sfidarmi ad
una gara...
- E tu cosa hai fatto? - chiese ansioso il Nano.
- Niente per il momento, te l’ho detto, non avevo fretta, e di certo non avevo nessuna
intenzione di sfiancare il cavallo per accettare la sfida di un paio di ragazzetti foruncolosi.
Senonchè, dopo un po’, sento nuovamente rumore di zoccoli al galoppo alle mie spalle... -
Gli occhi del Nano brillarono, ma non disse niente.
- mi volto, e ti vedo altri due ragazzotti a cavallo, - continuò Azlea - più o meno della stessa
età di quelli di prima, che arrivano ancora più lanciati. Solo che questi, nel sorpassarmi, si
girano tutti e due a guardarmi con la faccia brutta, e uno fa addirittura un gesto come per
estrarre la spada, mentre l’altro mi taglia la strada...
- Ah! E tu li hai fatti a pezzettini, immagino! - esclamò Fenwick, il volto sempre più acceso
dall’interesse.
- Beh, in realtà non mi andava proprio di fare secchi due pivellini solo perchè si erano permessi
una sciocca bravata, - replicò lei - non mi va di versare sangue se non è necessario, e poi in
quel momento me la stavo prendendo proprio comoda... mi sono limitata a sghignazzargli in faccia,
e quelli hanno tirato dritto.
- Poco dopo, però, - aggiunse - mentre ero arrivata quasi ai piedi di una collina, sento nuovamente
rumore di zoccoli alle mie spalle. Questa volta era un cavallo solo, montato da altri due
ragazzini, uno, quello che teneva le redini, con un aspetto abbastanza per bene, l’altro,
seduto dietro, un ciccione che avrà avuto quindici anni al massimo, con una faccia da figlio
viziato di nobili che veniva voglia di prenderlo a schiaffi. Bene, mentre mi sorpassano, questo
bamboccio grassone si volta sulla sella e mi fa un gestaccio, così - e Azlea alzò il dito medio
della bella mano affusolata.
- Per il piffero del Grande Nano! Un’offesa del genere non può passare impunita! - tuonò
Fenwick, scattando in piedi e pestando sulla tavola un pugno tale da fare tremare i boccali.
- E infatti a quel punto ho deciso che quei bifolchi avevano bisogno di una bella lezione. Perciò,
senza alzare la voce, ho ricambiato a mia volta con un bel gesto - la bella guerriera alzò
entrambe le mani con i pollici e gli indici disposti a semicerchio, una di fronte
all’altra - e gli ho detto cosa gli avrei fatto, con dovizia di particolari. E quello
sbruffone, con la massima faccia di bronzo, mi grida: “Ti aspettiamo tutti in cima alla
collina!” “D’accordo!”, gli faccio io. E sono galoppati avanti...
- Uh, che scena deve essere stata! - gongolò il Nano. - E poi?
- Bene, ho proseguito con calma, anche perchè volevo controllare che non mi stessero tendendo
un’imboscata. Ma la collina era priva di cespugli o rocce, c’era solo una distesa di
erba tagliata corta. Verso la cima, il terreno si spianava un po’, e pensavo che mi
avrebbero aspettato là...
- Sì, sì, vai avanti - supplicò il Nano, che non stava più nella pelle.
- Arrivo in cima alla collina, e lì...
- Sì, dicci, li hai fatti tutti a pezzi, vero? Gli hai dato il fatto loro, giusto? Racconta,
dai...
- Beh, non ci crederete... ma non c’era nessuno!
Un silenzio di tomba accolse questa fine inaspettata del racconto. Poi Fenwick esplose.
- Ma come, niente arti mozzati? - ululò, come un animale ferito a morte. - Niente teste tagliate,
occhi cavati, ossa spezzate? Niente sangue, niente cozzo di lame, niente finte e parate e
disarmate e affondi e colpi di grazia e urla di dolore e rantoli di moribondi? Ma che avventura è?
- ruggì, sempre più infuriato.
- Beh, - gli si rivolse Azlea con un sorriso smagliante - ti avevo pur detto che questo racconto
si intitolava “La frustrazione del Nano”.
A questo punto tutti i presenti, al vedere l’espressione di assoluta delusione dipinta sul
volto del Nano, scoppiarono in una risata omerica. Fëaringel gli rideva proprio in faccia, Moran
si teneva lo stomaco con entrambe le mani, e persino sul cupo volto del loro anfitrione apparve
l’ombra di un sorriso.
- Credo - disse questi, quando l’ondata di ilarità intorno al tavolo si fu placata - che
possiamo dichiarare Azlea vincitrice della gara di racconti per questa sera!
La bella guerriera si alzò in piedi tra gli applausi e sorrise.