La notte nella foresta era scura, molto più scura di quanto avessero pensato mentre attraversavano i campi al chiaro di luna, e nemmeno Fëaringel, che del terzetto era il più abituato ai boschi, riusciva ad orientarsi con precisione, né a nascondere un certo nervosismo man mano che si inoltravano verso il nero cuore del folto d’alberi. L’oscurità era tale da non consentire loro di vedere ad un palmo dal naso. Moran alzò lo sguardo verso il cielo, speranzoso, ma la luna riusciva a malapena a fare capolino dietro i rami di una quercia secolare. Per un attimo fu possibile intravederne la sagoma, poi, seguendo la schiena di Fëaringel, si tuffarono in un intrico di cespugli che cancellò completamente qualsiasi traccia di luce. Moran pensò che vagare in quel modo non li avrebbe certo aiutati a scoprire un bel niente, e che vi era anche una forte possibilità di perdersi. Evidentemente la stessa cosa era venuta in mente anche ad Ice Green, perché si fermò di botto ed esclamò - Ehi, ma dove stiamo andando ?
- A cercare la Radura delle Tre Pietre - rispose Fëaringel voltandosi a guardarli da sopra la spalla.
- A me sembra una follia - obiettò Ice Green. - Non la troveremo cercando così a casaccio!
- Dobbiamo scegliere una direzione e seguirla - questo fu il parere di Moran. - Se no ce ne torniamo dritti al villaggio, e a quella locanda sulla riva del fiume dove la birra non era poi tanto male.
- Cos'è che avevano detto quei tizi all'osteria? Un po’ verso sud e poi verso est, mi pare. - Ice Green era meditabondo.
- Se non cominciamo a girare in tondo come i bimbi sperduti delle favole - sbuffò Moran.
- Di quali favole stai parlando? - chiese Fëaringel.
- Oh, niente. Roba che racccontiamo ai bambini a Darokin per insegargli che non si va di notte nel bosco.
Un estraneo che fosse stato ad ascoltare si sarebbe molto stupito di sentire quei tre discutere tranquillamente, come se fossero stati seduti nella sala da pranzo di un’osteria accanto ad un bel fuoco, e non, come invece erano, in mezzo ai cespugli di una foresta dall’aspetto francamente terrificante, in una gelida notte di novembre, alla caccia di “qualcosa”, non si sapeva ancora se uomo o bestia, che aveva ucciso e fatto a brandelli almeno sei persone.
Improvvisamente Fëaringel si voltò. - Cos’è questo rumore?
- Da che parte? - chiese Ice Green.
- Zitti. Lasciatemi ascoltare - fece Moran. Rimase un attimo in silenzio, con gli occhi chiusi, poi disse - Per di qua. Verso sud.
- Ora lo sento anch’io – disse Ice Green. - Cosa vi sembra?
- Rumore di uno che scava - affermò Fëaringel.
Si inoltrarono nella foresta verso la direzione da cui proveniva il rumore. Man mano che avanzavano, i suoni si facevano sempre più netti e precisi: il raschiare della pala che mordeva il terreno, il tonfo sordo del terriccio smosso gettato via, il respiro affannoso della persona che scavava.
Una barca scendeva il fiume al tramonto. Era una chiatta, larga e tozza, carica di merci e cavalli. I barcaioli remavano, con il sole negli occhi, assecondando la pigra corrente. I boschi si stendevano su ambedue le rive, nere masse di querce scure e lecci, rese ancora più cupe dal contrasto con la luce pomeridiana.
A poppa dell’imbarcazione, comodamente stravaccati su morbide pelli d’animale, un osservatore curioso avrebbe visto tre figure che formavano un notevole contrasto con i rozzi barcaioli e i grassi commercianti che occupavano gli altri posti più a prora. Tanto per cominciare, due di essi portavano apertamente armi, spade lucenti nel sole del tramonto e archi e frecce posati accanto a loro. Anche il loro aspetto fisico era tale da attirare l’attenzione. Il più basso era chiaramente un Elfo: e malgrado la sua statura fosse inferiore a quella degli altri due, ciò nonostante era superiore a quella di quasi tutti i membri della sua razza. Le sue vesti erano nere come la pece: i capelli neri gli scendevano sul viso, insolitamente bello e armonioso, persino per un Elfo. Il suo colorito scuro, sebbene non raro tra gli Elfi, era comunque motivo di stupore in quella parte del mondo, dove la maggior parte degli Elfi erano biondi, e con gli occhi chiari.
Il più alto dei tre, quello che non portava armi, era vestito con una lunga tunica scura. Il volto deciso, nel quale spiccava nettamente un gran naso aquilino, non era attraente come quello del suo compagno Elfo: nel lampeggiare degli occhi nocciola si intuiva però una personalità forte e decisa. Era il tipo d’uomo capace di comandare altri uomini, e, quel che più conta, di essere obbedito.
Il terzo, sdraiato, se possibile, ancora più pigramente e comodamente degli altri due, era un tipo di media statura e costituzione robusta, vestito con un normale costume da caccia verde e marrone. La spada gli pendeva al fianco destro. La grazia indolente con la quale si appoggiava su un gomito ricordava un gatto, e suggeriva un’agilità fuori dal comune. Non era certo il tipo che si distingue in un gruppo: si sarebbe potuto tranquillamente ignorarlo… a proprio rischio e pericolo, come più d’uno aveva già sperimentato sulla propria pelle.
Tutti e tre erano giovani, come si poteva vedere dai volti lisci, senza una ruga: ma in quegli stessi volti brillavano occhi che smentivano la prima impressione di avere a che fare con dei ragazzi. Erano occhi che avevano visto cose strane, abissi oscuri e imperscrutabili dell’animo umano… o non umano. Battaglie, creature strane, mostri che la maggior parte della gente credeva esistessero soltanto nelle leggende, fiumi, paludi, foreste e praterie: quegli occhi avevano visto tutto questo… e, cosa molto più importante, erano sopravvissuti per testimoniarlo.
Ciò nonostante, dalla loro conversazione nulla di tutto ciò traspariva minimamente: anzi, sembrava il discorso più pacato e tranquillo del mondo. Era l’Elfo che parlava.
- Allora, ce la faremo ad arrivare al Capolinea prima di notte? - Queste parole erano rivolte al tipo con il costume da caccia verde e marrone.
- Non certo stanotte, - rispose quello. - Ho parlato poco fa con i barcaioli. Poco a valle il fiume entra in un lago piuttosto grande, e bisogna attraversarlo. Poi c’è ancora un bel tratto, e la corrente è piuttosto lenta. Credo che ci saremo per domani sera. Poi, da lì, un giorno e mezzo a cavallo, e saremo finalmente a Darokin.
- Un’altra notte sul barcone! - sbuffò l’Elfo.
- Come, non eri tu quello che adorava l’acqua? - replicò l’altro ridendo.
- Cosa dicevano, allora, riguardo una sosta ? - il tipo più alto parlò per la prima volta.
- Sì, stanotte ci fermiamo in un avamposto. È un punto di transito per tutte le barche che viaggiano sul fiume. È un posto di contadini e pescatori, ma ci dovrebbe essere anche una buona locanda. - rispose l’altro uomo, evidentemente contento. - Almeno dormiremo in un vero letto, e forse troveremo anche una buona birra. - Un largo sorriso si diffuse sulla sua faccia a quella prospettiva.