Ochalea
Ice Green chiuse gli occhi per qualche istante, respirando a fondo e lasciando che la brezza marina gli riempisse il petto, mentre le onde che si susseguivano sulla battigia gli solleticavano i piedi. Erano tre settimane che camminava scalzo, o al piú con dei leggeri sandali. Aveva smesso le sue spesse vesti, scambiando la loro magica protezione con la libertá di movimento di una leggera tunica di cotone grigia. Immerso in un paesaggio di una bellezza quasi surreale, la vista che aveva davanti lo ripagava di ogni ora passata sul dromone Thyatiano per giungere a Beitung, la capitale del Mandarinato di Ochalea. Come sembravano distanti, ora, quei giorni. La tempesta che li aveva mandati fuori rotta, dritti in mezzo ad una flottiglia Alphatiana, le fiamme, gli incantesimi, la fuga, grazie ai venti da lui stesso comandati...
La chiamata, inaspettata, era giunta in un momento difficile per le popolazioni di Karameikos e Thyatis. Si erano appena riuniti agli elfi in fuga, lui, Moran, Fëaringel e Hierax. Avevano combattuto al fianco degli esuli del regno perduto di Alfheim, e neve e vento gelido erano stati compagni tanto fedeli che gli attacchi delle bande di umanoidi da Est, dei non morti da Ovest, degli Elfi Scuri e delle mostruositá che infestavano Aengmor da Nord erano quasi i benvenuti, se non altro perché gli permettevano di scaldarsi un pó combattendo. Ice ricordó con un sorriso la faccia oltraggiata di Moran quando aveva espresso quel commento a voce alta. Il Darokiniano doveva imparare a rilassarsi, o il suo fegato ne avrebbe risentito, pensó il mago; facile dirlo, ora, col sole che gli scaldava la schiena, lontano da fame, guerra, malattia. Nel cuore dell'inverno gli attacchi erano diventati tanto frequenti che solo l'arrivo di altri avventurieri pagati dalla cancelleria di Darokin aveva consentito loro di sopravvivere. Avevano affrontato orchi e giganti al crepuscolo, spettrali sagome di fantasmi nel cuore della notte, bestie selvagge di ogni genere e taglia, e persino un Drago Bianco che era lungo dalla coda alla punta del muso irto di corna due volte e mezzo il loro carro di vettovaglie. Voci di un aggravarsi della terribile pestilenza che aveva colpito Freiburg ed i possedimenti degli Heldann li avevano raggiunti per la lunga via che passava lontano da Alfheim, inabitabile, e Glantri, invasa dagli umanoidi di Thar. Nel giro di un mese, il vago sospetto che qualcosa stesse aizzando tutte quelle creature contro di loro divenne quasi una certezza. Il nome di Lord Hedric ed il suo spettrale castello, non lontano sui monti Cruth, gli era tornato spesso alla mente. Poi una sera, non lontano da Selenica, una figura avvolta in pesanti vesti li aveva raggiunti al crepuscolo.
"Ah geh-soont dear en poohp-ik..."
"E buona salute a te, amico Efy" gli aveva risposto Ice, lasciando trasparire per un attimo il suo accento Istadruntiano.
Il guerriero era stato fatto passare dalle guardie elfiche della carovana e, dopo un breve saluto, aveva detto:
"Porto nuove di Frennon. Non buone, purtroppo. Amico mio, dobbiamo parlare in privato".
Ice ricordó con una punta di amarezza come avrebbe preferito che le prime parole che scambiava nella sua lingua natale da anni ed anni fossero state per scambiarsi buone notizie e ricordare i vecchi tempi. Frennon Almagell, il suo mentore e maestro di vita, era sparito. Queste erano state le notizie recate dal suo amico.
Era successo tutto in un attimo. Efy e Leanora erano fuori dalla casa-rifugio, intenti a riportare le bestie nel recinto prima della sera, aiutati dai tre folletti che custodivano la cascata presso la quale avevano lascito che Frennon, quasi cinquanta anni prima, costruisse la sua magione. All'improvviso avevano sentito un pesante ed innaturale torpore scendere su di loro. Efy era stato l'ultimo a cedere, sebbene solo di pochi istanti, e prima di crollare a terra e perdere conoscenza aveva visto un uomo, dai lineamenti esotici, coperto da una veste leggera ed adorno di strani monili. Una spettrale luce viola ne circondava la figura. Lo aveva degnato di uno sguardo, sorridendogli, prima che il buio avvolgesse del tutto la mente del guerriero. Dovevano aver dormito a lungo, poiché al loro risveglio le stelle stavano per lasciare di nuovo il posto al sole. Stranamente, non avevano sentito freddo.
Capimmo subito che qualcuno doveva averci protetti, e non era stato Frennon. Dopo quasi dodici di sonno all'aperto saremmo dovuti morire assiderati, eppure, sebbene fossimo coperti da sei pollici di neve fresca, non ci eravamo congelati.
Almeno fino a casa di Frennon, Ice ci sapeva arrivare con la magia. Senza troppe spiegazioni, a parte una lettera lasciata nella tenda di Hierax, Ice aveva fatto i bagagli e, con un incantesimo, lui ed Efy si erano ritrovati nel cortile della casa dove era cresciuto, vicino alla vasca di pietra. Esattamente come la ricordava, a parte la spessa coltre di neve che, in ogni direzione, ne modificava la linea. La magia del Piccolo Popolo unita a quella di Frennon pervadeva ogni sasso ed ogni filo d'erba. Per i sensi di Ice, ora sviluppati appieno, era una sensazione inebriante. E tuttavia, al di sotto di quella magia tanto familiare, ne percepiva un altra, debole, quasi estinta, insolita, e stranamente inquietante, come una canzone sentita tanto tempo prima, le cui note sovvengono alla mente ma che la voce non riesce ad esprimere.
Aveva frugato in ogni angolo ella casa, e per centinaia di metri intorno, cercando un indizio che potesse dirgli dove fosse il suo maestro. Aveva chiesto ai folletti del fiume, della cascata, della foresta, se avevano notato qualcosa di strano. Aveva sorvolato la zona ed usato magia ed istinto alla ricerca di una traccia. Infine, una pista era emersa. Sabbia, fine, rosa, al centro dello studio, tra le crepe delle pietre del pavimento. Delle bucce di strani semi nelle ceneri del camino. Delle vesti piú leggere nell'armadio, tessute di una strana seta bianca. Un luogo caldo, lontano, verso sud... ma dove? Gli appunti di Frennon erano criptati, e gli ci vollero diversi giorni per riuscire a capire cosa contenessero. Gli elfi non ne sapevano molto di piú, sebbene fosse chiaro che il Maestro era impegnato in qualche studio che lo portava lontano e di frequente. Efy e Leanora non ci avevano fatto caso, poiché da oltre un anno conducevano una vita indipendente in un'ala separata della casa. La cosa, per Ice, era molto strana. Leanora ed Efy, rispondendo alle domande di Ice, iniziarono a ricordare come, a differenza di loro due, la pelle del mago si fosse gradualmente scurita. Sembrava di buon umore, in buona salute col suo colorito abbronzato, e niente affatto in pericolo. Almeno, non fino al giorno della sua sparizione. Ice non era riuscito a restringere il campo, fino al giorno in cui un piccolo ragno dall'addome tigrato gli si era calato davanti alla faccia. Una specie strana, esotica, rara, non di questo continente. Lo catturó subito e, dopo pochi giorni di ricerche, ed un pericoloso viaggio alla biblioteca centrale di Thaytis, ottenne la risposta che cercava. Migale Tigrata Nana, una specie originaria delle isole delle Perle e di Ochalea.
Perfetto, ora si che sono tranquillo! - pensó sbattendo il pugno sul leggio.
Ochalea e le Isole delle Perle, la piú recente secessione dall'Impero di Thyatis. Senza meno opera di qualche Immortale che cercava di indebolire l'Impero a favore di Alphatia. Perché il maestro era andato lá? E chi era quell'uomo che Efy aveva visto prima di addormentarsi? Chi era il rapitore (se di rapimento si trattava) che era riuscito a sorprendere un mago potente come Frennon, ma che al tempo stesso si era disturbato a lanciare uno Scudo magico per proteggere dagli Elementi Efy, Lea e i folletti? Come giungere ad Ochalea?