Giorno. Isola di Elegy.
Su uno scoglio discosto dalla strada, a un paio di miglia dal villaggio dei pescatori, Hierax meditava. In piedi su una piccola sporgenza, assaporava il leggero vento fresco che smorzava il calore di una giornata altrimenti troppo calda, esercitando il corpo e la mente come aveva imparato a fare da piccolo a Khalpen, il respiro lento e regolare, i movimenti netti, i pensieri sgombri da ogni impaccio. Il Mondo Cavo lo aveva messo duramente alla prova, giorni e giorni senza sentire l'aria sulla pelle, senza vedere un vero cielo, senza sentirsi libero; per questo era andato lui al villaggio quella mattina, per sbrigare alcune commissioni per il Corran Keep, ma soprattutto per sentire l'aria di mare mentre si esercitava su quello scoglio che aveva scoperto molto tempo prima.
D'un tratto, gli sembrò che il mare, prima lievemente mosso dalla brezza, si agitasse quasi di colpo. e si facesse più scuro; forse una grossa barca al largo aveva alzato qualche onda, anche se non gli sembrava di vederne. Qualche onda iniziò ad alzare spruzzi, e gli sembrò che fossero concentrati sullo scoglio dove lui stava; l'acqua gli avvolgeva ora i piedi, e solo il suo enorme equilibrio lo teneva ancora in piedi sullo scoglio ormai quasi sommerso, quando li vide. Non si sbagliava. E la sensazione di ostilità che il mare gli trasmetteva aveva ora una ragione. Erano almeno due, forse tre, acqua nell'acqua, ombre tra le onde, ed erano lì per lui, con lunghe mani di onda che cercavano di afferrarlo e trascinarlo giù, con dardi di acqua fredda che gli ferivano le braccia nude e il fianco, ma lui non si sarebbe arreso tanto facilmente.
Aggrappato ormai allo scoglio che lo graffiava, cercava di resistere, ma la forza delle creature era quella del mare agitato, e ormai lottava con l'acqua fino agli stinchi, scalciando con tutta la sua forza per allontanare le creature, che in un attimo ritornavano a ghermirlo e trascinarlo verso acque profonde, dove sapeva di non avere nessuna possibilità di salvarsi.
Un raggio di luce attraversò le nubi che si muovevano alte nel cielo, un riflesso vicino raggiunse i suoi occhi dalla parete rocciosa, e in un momento fu di nuovo sicuro. La spada era lì dove l'aveva poggiata, a meno di un metro da lui, e anche se non poteva toccarla ne sentiva il potere e il vento freddo che ne scaturiva davanti alle creature dell'acqua che lo affrontavano. Raccolse le forze e aspettò il momento opportuno, con un violento calcio si liberò per un attimo dalle onde, e con un salto raggiunse Vaiga sfoderandola. Girandosi, si accorse che due delle creature erano quasi uscite dall'acque, come onde enormi e intelligenti, pronte ad afferrarlo, ma ormai non gli importava niente, e sorprendendo le creature si gettò contro di loro con un balzo, e tagliò la prima in due con un colpo solo, affondando poi la lama nel corpo della seconda, ammesso che ne avesse uno; un suono stridulo gli diede la certezza di aver colpito il bersaglio, e dandosi la spinta sullo scoglio si tuffò verso la terza che lo attendeva nell'acqua, nel suo elemento dove si sentiva imbattibile, ma non era così. Dopo un volo di un paio di metri, come quell'aquila di mare che tante volte aveva osservato da ragazzo, raggiunse il suo bersaglio, affondando la spada nell'acqua profonda, che si fece ghiaccio per alcuni metri tutto intorno, imprigionando la creatura e devastandola fino a renderla un ammasso di pezzetti di ghiaccio che si scioglievano lentamente nella tiepida acqua tropicale, mentre Hierax risaliva sullo scoglio e rinfoderava la spada, completamente bagnato, le braccia graffiate a sangue, il corpo livido dai colpi, il respiro rapido, lo sguardo deciso.
Un rumore sopra di lui, qualche metro sopra la scogliera, un'ombra umanoide che si allontanava in fretta, una risposta fin troppo facile. Era lì per lui...
"Ragazzi, a mio modesto avviso, siamo nei guai."
Una lunga tavola di quercia occupava il centro della vasta stanza circolare. Sul piano del tavolo nessun ornamento né cibi o bevande; solo una grande pergamena con una mappa del Mondo Conosciuto tracciata in inchiostro nero, i nomi delle nazioni e degli Imperi vergati in una elegante calligrafia in stile thyatiano. Intorno al tavolo sedevano quattro figure dai volti cupi. Non era una delle tante piacevoli serate di baldoria che si erano consumate in quella sala; era una riunione di affari. E affari maledettamente seri.
"Che ci siamo messi in un maledetto pasticcio lo sappiamo, Moran" affermò secco Ice Green.
"Ma forse nemmeno tu ti sei reso conto ancora bene di tutte le implicazioni. Non è colpa tua, voi due" - il Ladro fece un cenno con la testa verso Fëaringel - "non date molto peso a cose come la parola d'onore e la lealtà... no, non prendertela" continuò Moran vedendo uno scatto del Mago, "non è colpa tua, semplicemente voi siete abituati a pensare così. Ma stavolta non possiamo svicolare come al solito e fare quello che ci sembra più utile per noi, come suggerite sempre."
"Nemrodus", disse Fëaringel.
"Non solo. Hai presente il proverbio che dice 'essere presi fra due fuochi'? Beh, noi stiamo peggio, perchè siamo presi fra tre fuochi."
"Rheddrian." Una sola parola di Hierax, lapidaria.
"Rheddrian, già... è lui che ci ha mandato a indagare su cosa stessero combinando gli alphatiani" - ricordò Moran. "È a lui che abbiamo promesso di scoprire cosa ci fosse sotto. E per scoprirlo abbiamo giurato all'esercito di Alphatia (o meglio, all'Armata di Eos) di non rivelarlo a nessuno, cosa ci fosse sotto. Quindi..."
"Taglia corto, queste cose le sappiamo" - interruppe Ice Green.
"Quindi, come dicevo, siamo nella merda fino al collo. E il livello sta salendo piano piano..."
"Hai qualche idea?" Fëaringel, brusco, impaziente come al solito di agire.
"Sul come levarci da questo pasticcio... no. Solo sul come rispondere a Nemrodus e guadagnare tempo. Perlomeno, so cosa farò io."
"E cosa farai?" chiese Hierax.
"Manderò una bella e cortese lettera a Sua Eccellenza... a Sua Eccellenza, non a Rahab. Gli dirò che, come al solito, saremo lieti di dargli tutto l'aiuto e le informazioni possibili... tutte quelle possibili." sottolineò Moran. "Gli parlerò dettagliatamente di quel tizio con lo spadone e di quanto ci ha detto su Lady Lilith, e a questo riguardo dovremmo tutti spremerci le meningi per cercare di ricordare quanti più particolari possibile. Gli dirò che, per alcune cose, siamo vincolati da un giuramento di discrezione e che non possiamo violarlo... del resto, Lei, Eccellenza, capirà, se fossimo i tipi che si mettono a chiacchierare troppo in giro, magari parlando a sproposito di Sybaros, lei non potrebbe certo fidarsi di noi, dico bene? Poi aggiungerò che per quanto riguarda il Mondo Cavo, lui ne sa certamente ben più di noi, visto che è riuscito a rintracciarci fino laggiù, e comunque ha un sacco di ufficiali alphatiani da interrogare, che sanno tutto quello che potremmo dirgli noi e in più moltissime cose di cui noi non abbiamo nemmeno idea."
"Infine" proseguì Moran, "cercherei di mettermi in contatto con Rheddrian e di vedere fino a che punto possiamo rispettare il giuramento che abbiamo fatto... perché state certi che, se lo rompiamo, la maledetta putta... la gloriosa Imperatrice verrà sicuramente a saperlo."
"Le solite stronzate cavalleresche" - mormorò Ice Green a mezza voce.
Moran si strinse nelle spalle. "La mia parola d'onore vale qualcosa, Ice".