Un vortice improvviso, freddo. La senzazione di una lama di ghiaccio nelle ossa. Solo un istante, prima del balzo in avanti, sotto la zampa della bestia protesa all'attacco, e oltre.
Si ritrovò in piedi, a pochi centimetri dal fianco squamoso dell'animale, che stava alla sua destra. Udiva le grida dei compagni dietro di sé, e capì che almeno uno era stato investito in pieno dall'onda di ghiaccio del Nukalivee, forse più di uno. Aveva tempo per un solo colpo: se fosse andata male, non avrebbe avuto il tempo di vibrare il secondo. Senza neanche girarsi a fronteggiare il mostro, alzò la spada e ruotò il polso, prima di vibrare un colpo di lato, proprio sotto l'articolazione della zampa anteriore. La lama ricurva della sa-shull penetrò fino all'elsa, strappando al Nukalivee uno spaventoso ruggito di dolore e furia. Moran capì due cose: la prima, che aveva inferto alla bestia un colpo terribile, forse mortale; la seconda, che l'attacco combinato suo e dei suoi compagni non era riuscito a ucciderla sul colpo, e che aveva ben poche possibilità di sfuggire alla risposta di quei terribili artigli... nella mente gli balenarono le parole di Hierax, quando pochi minuti prima avevano individuato quella sagoma in mezzo alle rovine diroccate e coperte dalla giungla:
"Conosco quella creatura. È immune a molti incantesimi, è fortissima e i suoi attacchi possono uccidere sul colpo, se l'artiglio arriva alla carne. Dobbiamo essere molto prudenti..."
Fu tutto quello che sentì prima che l'artiglio affilato come un rasoio lo colpisse sul petto squarciandogli la corazza, la veste protettiva, gli abiti, scagliandolo a qualche metro di distanza.
Lo stordimento fu di brevissima durata: riaprì gli occhi in tempo per vedere Andros, coperto dalla testa ai piedi di cristalli di ghiaccio, e Fëaringel che davano il colpo di grazia alla bestia agonizzante... intuiva, più che vedere, la sagoma di uno dei Norreni immobile al suolo, cristallizzato in una statua di ghiaccio dal soffio del mostro... aspettò, per lunghi, interminabili secondi, sapendo di essere ferito, ma non mortalmente, a meno che l'artiglio non avesse lacerato la carne a sufficienza, esponendolo al terribile potere del Nukalivee... aspettò di sapere se doveva vivere o morire.
La sua lama fischia intorno a me. Sono più veloce, schivo, mi abbasso e riparto. Rumore di metallo che stride, le spade una contro l'altra. Maledizione, è bravo, para tutto ed evita i miei fendenti. La voce sensuale di Narbeleth guida i miei movimenti, la sua nube nera mi ammanta, la foresta è ancora più scura di quanto di solito sia ma lui incalza quasi come se niente fosse. Le lame volteggiano, si inseguono e falciano le piante intorno a noi. È spaventosamente veloce, del tutto a suo agio nella foresta e nell'oscurità.
Poi - per un istante - rallenta e riesco a sfiorarlo con la punta della spada.
Luce nera.
Qualcosa si rompe, il filo che mi tiene in equilibrio incerto si spezza e sento la mia mente che vacilla e si strappa. Un richiamo suadente mi blandisce. La voce sensuale ora è un sibilo, poi un ringhio violento contro il mio avversario. Mi spinge ad attaccare e gode alla sensazione del nemico davanti a sé, guida la mia mano a stoccate sempre più decise. Ora lo vedo meglio, i miei affondi sono più precisi nel buio che si addensa fino a diventare tenebra liquida. Lui risponde, contrattacca, ma oramai lo vedo muoversi al rallentatore, come invischiato nella oscurità crescente.
E poi è un attimo, un movimento imprevisto del polso, non stabilito. Un urlo nella mia mente. Mi manca il respiro, una sensazione di caldo liquido, come un'amputazione. Cado a terra mentre vedo la mia spada roteare in aria e la sua ad un centimetro dalla mia faccia. Un flash, e torno in me. Narbeleth è al mio fianco, a terra. La sua tenebra si affievolisce lentamente.
- Basta così. Mi arrendo, sei troppo bravo. - riesco ad ansimare.
La sua faccia tatuata è sopra di me. Andros sorride, tende la mano e mi aiuta a rialzarmi.
- D'accordo, Fëaringel. Ma la prossima volta che ci alleniamo usa un'altra spada.
La bottega di Bakul era deserta. Gavras, l'ex soldato thyatiano e fedele guardia del corpo del mercante di armi, si era congedato con l'usuale discrezione ad un cenno di quest'ultimo. Li aveva salutati con un leggero inchino, come faceva sempre con i clienti di riguardo, e si era messo a rastrellare la ghiaia del sentiero che portava all'uscio di Via degli Spadai 32.
Pochi gradini verso il basso, ed i quattro nuovi venuti avevano perso anche l'ultimo dei già flebili rumori provenienti dal quartiere degli stranieri. I passi di tutti e quattro esprimevano decisione e forza, ed era ben chiaro chi fosse in svantaggio. Bakul, pur essendo il padrone di casa, aveva capito al primo sguardo che i suoi vecchi clienti non erano venuti lì per trattare qualche nuovo acquisto; non solo, almeno...
Ed eccoli lì. Come facevano tutti quando si recavano nel "retro" di quel bazar, avevano fatto in modo di non essere riconoscibili, e i loro visi, i loro abiti, ma soprattutto le armi e le corazze, erano ben celati sotto ampi ed anonimi mantelli di tessuto grigio.
Bakul, a disagio, si era appena appoggiato al bordo di un alto sgabello, quasi in bilico su un burrone tanto sembrava precaria la sua posizione. Li guardava ad uno ad uno con apprensione, temendo il peggio dalle notizie che, sapeva, erano venuti a portare quegli avventurieri.
Due dei quattro erano particolarmente alti e robusti, e si erano disposti ai due lati del mercante. Da sotto il manto di uno dei due sbucava il fodero nero di una lama lunga e larga, mentre il più alto di tutti (ben più di sei piedi!) aveva appoggiato al muro con indifferenza un pesante bastone di legno rossastro, lungo e dritto. Gli altri due, un po' minori in statura ma di certo ben piazzati, erano rimasti in piedi in disparte, quasi con i piedi ancora sulle scale, in atteggiamento di ascolto ed attenzione. Da lontano, solo il ritmico rastrellare di Gavras era percepibile.
"...ma prego, mettetevi un po' più comodi, amici. Fa caldo. Non volete almeno deporre cappucci e mantelli?". La richiesta di Bakul, effettuata quasi con un filo di voce, fu accolta con un secco "no" di almeno tre dei quattro uomini ammantati.
"Ora, Bakul, qui nessuno è venuto a farti del male o a vendicarsi di chissà cosa. Vedi di calmarti. Sembri una corda d'arpa! Parliamoci chiar...".
"Comunque non te la cavi a buon mercato!". Era stato uno dei due sulle scale a iniziare a parlare, con voce conciliatoria, ma era stato bruscamente interrotto dal più robusto dei quattro. Che proprio in quel momento decise di gettare a terra la cappa, rivelando quasi tre piedi di capelli neri come le ali di un corvo. I lineamenti erano severi come quelli delle statue dei condottieri di Lhynn e la postura, piegata in avanti, con le spalle rilassate ed i piedi convergenti ben ancorati a terra era quella di un guerriero, abituato a mulinare le armi nelle più feroci ed affollate mischie.
"Ci stavamo portando appresso una mezza maledizione, della quale TU eri di certo al corrente, eppure non ti sei fatto scrupoli a vendercela, per quasi ventimila monete d'oro poi!". La voce, seppur addolcita dalla cadenza degli elfi di Sayshell, suonava come una sentenza dell'Inquisizione di Sybaros.
"Fëaringel, ti preg...". Intervenne l'altro uomo di fianco a Bakul.
"Silenzio! E lasciatemi sfogare. Non ne posso più di intrighi di potenze, scacchiere cosmiche, destini incrociati e trame di demoni. A tutto questo dovrei anche aggiungere i mercanti che lucrano sulle sventure altrui? Non credo! Dicevo, Bakul." Fëaringel si era portato un altro passo avanti, rispetto al mercante. Era più alto di lui di quasi tutta la testa. "Ora ti siedi e ci spieghi TUTTO quello che sai su quella dannatissima spada. Dove te la sei procurata, da chi, per quanti soldi, e soprattutto perché accidente non ci hai avvertito prima delle sue origini!".
"Fëaringel...Bakul è GIÀ seduto. Perché non lo imiti e non la smetti di alitargli in faccia? Tra poco sfodererà il pugnale e tenterà di suicidarsi per non essere condotto vivo all'inferno" - disse l'uomo più alto.
"Inferno? Che intendi dire, mago?"- interloquì Fëaringel.
"Si riferisce al fatto che sembri il diavolo in persona quando ti comporti così. Guarda, si sono anche attenuate le luci nella stanza quando hai alzato la voce. Ora togli le mani dall'elsa di Narbeleth e prova a metterti nei suoi panni." Era stato il quarto uomo a parlare. Gettando indietro anche il suo cappuccio, presto imitato dai rimanenti due.
"Hierax, io non credo che tu..." disse Fëaringel.
"Amico elfo, perdona se ti interrompo, ma cerca di capire che non è bello trovartisi davanti quando perdi le staffe. Se c'è una cosa che accomuna metà delle culture di Mystara è la descrizione del 'babau', e ti assicuro che in questo momento ti calza perfettamente".
L'elfo borbottò qualcosa, e lentamente, forse troppo, si costrinse a sciogliere la prese delle sue dita sull'elsa della spada, chiedendosi quando l'aveva afferrata, e perché. Voleva solo mettere un po' di paura a Bakul, all'inizio. Eppure...
Agli altri tre amici questo particolare non era certo sfuggito, tuttavia non vi accennarono. Moran, dal gradino di legno sul cui era rimasto per meglio ascoltare i rumori esterni, sganciò Geburah con tutto il fodero da sotto il mantello e la depose sul tavolo. Icegreen, accostatosi al mercante, la indicò con uno sguardo e disse. "Bakul, guarda, sinceramente, non ce l'abbiamo con te, davvero!".
Il mercante d'armi esotiche iniziò a guardare i tre umani come preziosi alleati, e i loro visi gli sembrarono d'un tratto amabili e pieni di compassione e gentilezza, in confronto a quello dell'elfo. Halav! Se lo era trovato a respirargli in faccia, a pochi pollici di distanza. Se quell'essere avesse deciso di spedirlo in cielo, né i suoi amici né tantomeno Gavras al piano di sopra, avrebbero fatto a tempo ad impedirglielo. Ma che colpa aveva lui? Che ne poteva sapere? Accidenti a Nahar! A lui, ai suoi amici e a quando si erano presentati per vendergli quella spada, e...
"Bakul? Ci sei?". Moran aveva interrotto la catena dei suoi pensieri chiamandolo per nome.
"Sì sì, ecco, ecco, ehm, ebbene, da dove iniziare... Sì, io...Ecco, ci tengo a scusarmi con voi, tanto per iniziare".
"Lo apprezziamo, amico. Ora, stavi dicendo?". Disse Icegreen sorridendo affabilmente.
"Dicevo...sì, dicevo che vi racconterò tutto quello che so, anche se dubito che vi sarà di qualche utilità.
Molti mesi fa, quando veniste da me a fare compere, devo ammettere che fui felice di avere dei clienti tanto facoltosi, disposti a spendere un po' di più pur di avere un pezzo unico. Certo, la richiesta più strana me la fece messer Fëaringel, e fui lieto di poterlo accontentare. Tuttavia quando capii che messer Moran era interessato ad una spada di qualità superiore, proposi quasi senza esitare la lama che ora mi avete mostrato. Vi dissi che era un'arma potente, che proveniva dall'est, nonostante la strana forma. Non sapendo esattamente quali e quanti fossero i suoi poteri, ve la vendetti ad un prezzo sì alto, ma incomparabilmente ridicolo rispetto a quello che sospettavo essere il valore della spada. Per due motivi: il primo, era che temevo di attirare su di me qualche malaugurio vendendo la spada per una cifra troppo alta, ed il secondo era che proprio non me la sentivo di rischiare di danneggiarvi più di quanto, ahimè, ho involontariamente già fatto. Il prezzo concordato, 18.000 ducati d'oro, lo calcolai sul valore di una spada magica di quella qualità e di quella potenza. Speravo di rimetterci poco, che fosse una lama sì speciale, ma non più di altre che avevo vendute; magari più efficace contro certi nemici che contro altri. Dentro di me, tuttavia, sapevo di sbagliarmi. Troppo strane erano le storie che la circondavano, ed il modo in cui era stata recuperata. Per Halav! Quanto ho sognato di sbarazzarmene il prima possibile!". Rievocare le lunghe ore di paura e sospetto per lo strano oggetto che Bakul si era messo in casa più di quattro anni prima e che lo aveva accompagnato per altri due, dovette scuoterlo parecchio. Si voltò di scatto e prese, con mano tremante, una coppa ed una brocca, per versarsi un goccio di vino.
I quattro attesero che avesse finito, e poi lo invitarono a continuare.
"Avanti Bakul. E' il momento di vuotare il sacco." disse Fëaringel.
"Sì, per favore, non esitare oltre e dicci tutto. Potremmo avere bisogno delle tue informazioni per salvarci la vita, un giorno!" aggiunse Moran.
"Mi auguro di no! Anzi, vi auguro pace e gioia per molti anni da oggi, anche se mi sembra difficile visti i tempi.
Ebbene, la storia di questa spada inizia, per quel che mi riguarda, almeno 4 anni fa. In un torrido pomeriggio d'estate venne da me un caro amico, nonché il mio miglior fornitore di oggetti curiosi e preziosi da tutto il mondo. Gli dèi benedicano il coraggio di quell'uomo. Non ho mai visto nessuno assetato di avventura come lui. E sì che ne vedo parecchi io di clienti, eh? No, ma lui era, anzi, è diverso. È matto come un cavallo, a giudicare da come fa ciò che fa, eppure dubito che incontrerò mai una mente tanto acuta ed un cuore più compassionevole del suo negli anni che mi restano da vivere".
"Minuti, non anni, a meno che non ti decida a tagliar corto con tutte queste premesse d'atmosfera" - sibilò l'elfo.
Bakul sbiancò, e Hierax dovette prendere da parte Fëaringel per un attimo. Con educazione, ma con fermezza, lo condusse sulla scala e disse:
"Fëaringel, di grazia, smettila, lo stai spaventando a morte! Facciamo una cosa. Qualcuno dovrà pur restare di guardia, per vedere cosa fa Gavras di sopra e se qualcuno sta ascoltando ciò che diciamo. Sii gentile, va al piano di sopra e resta con le orecchie aperte. La storia delle sa-shull riguarda solo me e Moran in prima persona, dato che ne possediamo una ciascuno. Dal pianerottolo potrai comunque sentire tutto quello che ci diremo qua sotto."
Qualcosa nella voce del mistico calmò i bollenti spiriti dell'elfo. O per caso o per intenzione, una fresca brezza prese a soffiare, aprendo diverse tende nella stanza principale della bottega. Era aria pura e fredda, proveniente dai monti. Fëaringel lo prese come un segno, e con un mezzo sorriso fece per salire le scale.
"Vado su a chiudere le imposte. Con tutti questi spifferi voi umani rischiate un malanno", disse salendo.
"Vai avanti Bakul. Ti ascoltiamo. Parlaci della spada. In quali assurde circostanze sarebbe stata recuperata, e da chi?" chiese Icegreen.
Bakul parlò a mezza voce, quasi timoroso di essere udito. "In mezzo ad un'orgia di migliaia di demoni urlanti, ad est, oltre le Midlands, in un posto chiamato Lhynn".
"Hierax! Ma Lhynn, è casa tua." disse Moran.
"Si, è lì che sono nato. Nel vecchio e potente impero di Lhynn. E sembra che sia successo qualcosa di veramente grosso da quelle parti..."
...chi può minacciare chi? Esiste davvero il libero arbitrio? Gli uomini sono davvero liberi di fare le loro scelte? O sono soggetti ai capricci delle Potenze? E lo sono tutti? Oppure solo quelli, come voi, che incontrano eventi più grandi di loro? E le Potenze, di quali Potenze ancora maggiori seguono i capricci? La catena potrebbe continuare all’infinito, e forse non c’è nessuna Divinità, in cielo o dove preferite crederla, pronta ad aiutarvi a spezzarla, o a rischiare qualcosa della sua immortale essenza per farlo!"
Con queste inquietanti parole l’inquisitore aveva iniziato, nel cuore di una notte di molte lune fa, a dare quella che lui stesso aveva definito "una parte della ricompensa per il prezioso servigio che mi avete reso, cari amici".
"Il nome della spada è Geburah", proseguì Nemrodus, di spalle al gruppo. "È la spada forgiata nel fuoco, e per il fuoco. E’ nota anche come Quinta Emanazione, o Spada della Guerra. Vuol dire ‘Forza’, in una lingua che sono in pochi a conoscere anche tra i gerarchi di Sigil. Simboleggia l’autorità severa, della madre, se parliamo della visione delle cose che hanno gli umani, che punisce e disciplina le creature nei primissimi anni di vita. Laddove la sua sorella Hesed edifica, Geburah distrugge, e rappresenta la forza che si trova dietro tutti gli impulsi volti all’annientamento ed alla distruzione".
Non sembrava tanto una filastrocca imparata a memoria a scuola. Dava piuttosto l’impressione che l’Arcinquisitore avesse riflettuto per lunghe ore sull’argomento, e che molto avesse scoperto in merito ad esso.
"Anche la tua spada, Hierax, è una sa-shull. Ma tu questo lo sai già; come sai che il suo nome è Vaiga". Affermazioni, non certo domande. "Essa è l’ottava emanazione", soggiunse Nemrodus. Misurando la stanza ad ampi passi, si diresse con lentezza studiata di fronte al gruppo, fermandosi a pochi passi. Le pieghe del suo mantello, nonostante la distanza, non lasciavano intravedere nulla della sua figura.
"E’ la spada delle facoltà mentali, dell’Aria; è anche emanazione della fantasia consapevole, dell’immaginazione disciplinata. Presiede alla facoltà di comunicare, educare, dirigere la mente". Disse queste ultime parole più per i tre conti di Corran Keep. Tale era la loro precisione ed esattezza che persino Hierax, sfiorando col mignolo Vaiga, appesa dietro la sua schiena, si trovò ad annuire lentamente.
Perché tanta loquacità? Icegreen, ascoltando avidamente, iniziò a temere il peggio. Ogni parola era una mattonella deposta sulla strada che Nemrodus stava costruendo davanti a loro, per loro. Ogni pausa nel respiro dell’Arcinquisitore gravava come una sentenza. Li stava obbligando ad ascoltarlo, allettandoli con la curiosità, con informazioni vitali, con finta confidenza; e più ascoltavano più finivano in suo potere.
"...anche il pesce che si ribella alla corrente del fiume, resta pur sempre nelle sue acque..." rifletté Icegreen con amarezza.
"La parola Sa Shull vuol dire appunto ‘emanazione’, e deriva dal fatto che il loro creatore, più che forgiarle con martellate in fornaci infernali, le ha poste in essere col solo pensiero, di cui sono appunto emanazioni. L’ordine delle emanazioni potrebbe essere cronologico, ma non è di certo quello dell’ordine di potenza. Pare che in tutto siano nove, delle quali otto sono disperse nel Multiverso e la nona (che in realtà è una COPPIA di lame gemelle) stia saldamente in pugno al creatore delle suddette spade, l’unico a poterla brandire senza riportare danni fisici e spirituali tremendi".
Per i cieli e le stelle! Solo pensare che quelle cose, quelle spade potessero essere più vecchie del pianeta su cui si trovavano fece vacillare il pensiero del mago. Gli apparivano ora pesantissime, come una stella morente, e terribili. Il peso degli eoni di quelle armi lo sfiorò per un attimo, costringendolo a rifugiarsi in un angolo della sua mente. Si concentrò su dati e fatti, rapporti necessari di causa ed effetto, rischi e benefici derivanti dalla due sa shull.
"Se la nona spada non è certo un oggetto per mani mortali, le otto lo sono anche troppo, condividendo coi mortali pregi e difetti caratteriali!". Un sussulto. Già da un po’ nella stanza era sceso un pesante silenzio, ma Icegreen perso nei suoi pensieri, non se ne era avveduto. Nemrodus, invece, si era accorto benissimo della distrazione del mago, interrompendo la sua spiegazione per gustarsi la preoccupazione che leggeva nei suoi occhi. Gli altri tre erano rimasto silenziosi e vigili, finché Nemrodus, con un tono assai più alto di prima, non aveva ripreso a parlare riportando il mago alla realtà.
"Pregi e difetti, dicevo…, tra cui la discordia. Non tutte le Sa Shull vanno d’accordo assieme. Sono state create con una strana complementarità, diversa dalla solita solfa degli elementali o delle sfere di potere opposte e dominanti. Certe Sa Shull hanno addirittura scopi ed intenzioni che travalicano quasi sempre la limitata comprensione del possessore, e li perseguono instancabilmente anche se impercettibilmente. Tutte cercano un equilibrio finale, ma cercano anche di distruggere o ostacolare le rivali e di aiutare le (rare) alleate. Possono anche, all’interno del loro ‘disegno’ stringere temporanee alleanze. Fanno le loro mosse, pur essendo oggetti inanimati. Se una Sa Shull si fa trovare, o scompare per millenni, o si lascia intravedere da sotto le falde di un mantello, o cade inavvertitamente in terra, o uccide un nemico di troppo o di meno, o un minuto prima o dopo del previsto, si può star certi che quell’insignificante dettaglio avrà un giorno ripercussioni. Di certo non è il proprietario della spada a comandare. Al limite sembra che si ‘lascino usare’ temporaneamente, ma solo perché anche il passaggio per un dato paio di mani fa parte del loro disegno. Nessuna è mai del tutto buona, e se non si è in grado di controllarle, bisognerebbe stare attenti a non svegliarne i latenti poteri. Alcune, più attive (e temo vi sia la tua tra queste, Moran) sembra che vadano alla ricerca di proprietari potenti dal punto di vista marziale, ma poco saggi, o avventati, o in cerca di un semplice talismano di potere. Vi si accompagnano finché questi non raggiungono un livello di forza tale da destarle appieno, e poi ne prendono possesso per compiere i loro disegni. Altre invece, sono passive e cercano di finire in mano a esseri illuminati e saggi, che possano guidarle come efficaci strumenti, ma sempre verso il LORO disegno, che però in questi casi è raramente difforme da quello del possessore. Questo mi sembra invece essere il caso di Vaiga, Hierax".
"Divinità? Come altro si potrebbero definire simili cose? Disegno, schema, intento, alleanze, tradimenti, guerre, piani, poteri e ricerche. Che cosa hanno ancora di comprensibile, a parte la forma, queste cosiddette spade?". Ormai né Icegreen né gli altri riuscivano a fingere curiosità o interesse. Una gamma di sentimenti tra il terrore, l’ansia, l’angoscia e l’inquietudine presero a divorare le loro viscere, stringendole in una morsa. Moran deglutì rumorosamente, e le dita di Fëaringel si strinsero al bracciolo della poltrona con forza tale da sbiancarle.
"La lama rivale di Geburah, è Hesed, ‘Amore’, la Quarta Emanazione, forse (ma persino io non posso esserne certo) la Sa Shull della Terra.". Si stava divertendo, era palese. Li stava facendo friggere in padella come una manciata di gamberetti.
"Ogni Sa Shull protegge il Piano di esistenza che le è stato assegnato da qualunque creatura extraplanare o extradimensionale che ne alteri l’equilibrio". Proseguì Nemrodus. "Per regolare una Sa Shull minore, una delle quattro che potrebbero essere collegate ai quattro elementi, su un dato Piano pare sia necessario trovarne il ‘Cuore’, che potrebbe avere la forma di una grossa gemma, e nasconderlo al sicuro, dove possa stare in contatto con grandi quantità dell’elemento da cui trae forza, in un luogo qualunque di quel dato piano. Dato che Geburah (come anche Vaiga, del resto) è efficace sul primo piano materiale, il suo cuore potrebbe essere nascosto OVUNQUE su questo piano, magari gettato su qualche stella dimenticata a contatto con la sua superficie rovente. Sembra invece che i quattro cuori delle Sa Shull maggiori siano in custodia personale da qualche parte a Sigil, forse nello stesso castello della Signora del Dolore, e che siano sempre stati lì. I poteri e l’efficacia di tali armi, dunque, rimangono ignoti così come la loro posizione attuale".
"Santo cielo!". Icegreen guardò Vaiga e Geburah. Ora gli apparivano come due bestie feroci sebbene assopite.
"Una Sa Shull, perfino una minore come le vostre, Moran e Hierax, può essere un terribile strumento di conquista, se si lascia usare e se trova un degno possessore".
Icegreen distolse lo sguardo dalle acque scure del lago. L’urlo di una scimmia lo riportò dove si trovava il suo corpo, seduto nella giungla nera vicino al Corran Keep.
Perché esistono le Sa Shull? Chi e quando le ha forgiate? Nemrodus, perché non ce lo hai detto? Nemmeno tu lo sai? Perché insisti a dire cose come "le vostre inesperte menti non sono pronte... figuriamoci le vostre anime!" o "Al mondo ci sono molte spade magiche, nessuna delle quali va usata con leggerezza!".
Una cosa però Icegreen l’aveva notata: quando la decima spada ed il suo creatore e possessore erano stati menzionati, subito prima che Nemrodus proseguisse, il mago era sicuro di aver visto Hierax sbiancare per un attimo, ed una goccia di gelido sudore scivolargli giù dalla tempia…
La sua mente andò a quello strano serpente di Adamante che era loro comparso in sogno, ed in particolare al pungiglione della sua coda, stranamente simile ad una coppia di lame di cristallo...