Finalmente in pace, se di pace si può parlare in un luogo come questo, considero a mente fredda gli eventi degli ultimi giorni. Io e Caranwen abbiamo avuto ragione a viaggiare separati. Nella malabolgia del molo di Thyatis, che i cittadini conoscono come il “Piccolo Fiume”, siamo a malapena stati in grado di salutarci, dandoci appuntamento nel porto di Abib di lì a qualche giorno. Una breve attesa, apparentemente, ma densa di sorprese ed eventi.
Giunsi ad Abib nel primo pomeriggio di undici giorni fa. Di Caranwen nessuna notizia. “Capita. Di sicuro arriverà qui domani o dopo...” pensai, cercando l'ufficiale a capo del molo di arrivo. Le mie preoccupazioni furono per un attimo scacciate di fronte alla esagerata magnificenza del palazzo del Porto. Una specie di Tempio, dal centro del cui soffitto, curvo verso l'interno come una torta sgonfiata, cadeva un fiume d'acqua in un vascone posto forse trenta piedi più in basso. Tutto era di pietra bianca, e le palme crescevano dentro il palazzo tanto quanto fuori. Dovetti percorrere un corridoio dalle dimensioni titaniche, tale da far apparire anche un Fomoriano come un bambino spaurito (figuriamci il sottoscritto).
Alla fine di quel corridoio fui io ad essere trovato dai funzionari, e devo dire che rimasi sorpreso nel notare come fossero quasi tutte donne. Volti severi, dai bei lineamenti regolari. Semplicemente vestite, cercavano di apparire amichevoli con i viaggiatori... almeno all'inizio. Nella lingua franca, che parlavano persino meglio di me, mi tempestarono di domande per quasi un ora prima di lasciarmi andare. Volevano sapere tutto della mia permanenza in quella terra. Amici, conoscenti, lavori, oggetti, contatti. Non avendo assolutamente nulla da nascondere risposi educatamente, ma alla fine, lo ammetto, stavo davvero per perdere la pazienza! Non sono certo abituato ad essere trattato così, nel mio paese natio! Infine, con i miei pochi bagagli, riuscii ad entrare nella strana città di Abib. Moderna, ricca, piena di gente da tutto il mondo, meta di viaggiatori, commercianti e uomini d'affari di ogni sorta. Era questa città la capitale di uno stato fondato da poco meno di sessanta anni da un popolo industrioso e pieno di iniziativa, che per alterne vicende (certune davvero tristi se non orribili) si era disperso in giro per il mondo da più di duemila anni. Pare una cifra detta per spaventare, ma a quanto pare potrebbero essere persino di più. Proprio perchè provenienti da ogni angolo di Mystara, queste persone mostrano i lineamenti più vari. Ci sono nordici Heldann, scuri Ethengar, alti e nobili Darokiniani, robusti Thyatiani, bruni Makkai e molti altri, tutti accomunati dall'appartenenza ad un popolo e ad un credo religioso. In verità, in un mondo di pagani come il nostro, questo può sembrare inconcepibile; tuttavia essi si riconoscono tra loro al di là di qualunque chioma dorata, naso sporgente, pelle di ebano o alabastro, occhio grigio o capello crespo. La stretta osservanza dei dettami di una serie di scritti sacri, tramandati da millenni dai saggi e dai dotti, è il loro collante principale.
Lasciai Abib quella sera stessa, con gli occhi colmi di stupore per ciò che avevo visto, e il cuore pieno di preoccupazioni per la sorte della mia amica. Chiedendomi cosa le fosse accaduto durante il viaggio, salii su un tipo di diligenza chiamata Nascjer e feci rotta per la mia prossima destinazione: Mukàddasat, la Città delle Preghiere.
Questa si trova nel cuore di una brulla e desertica regione, fatta di valli disabitate e pendii rocciosi dove pochi pastori si avventurano, radi e bassi arbusti e tanto, tantissimo spazio per far vagare lo sguardo. L'orizzonte, in queste terre, mi apparve tanto esteso da disorientarmi. Per ore ed ore vagai con la mente, finchè il cocchiere del Nascjer mi richiamò alla realtà con lo stesso urlo che aveva fino ad allora dedicato agli altri passeggeri, dicendomi che eravamo ormai prossimi a raggiungere una locanda nota come “Nostra Signora”. Edificata dagli Unti secoli prima, era stata da questi dedicata ad una donna che essi amavano ed ammiravano sopra ogni altra. La statua che la rappresenta, fatta della pietra chiara che qui abbonda, si trovava proprio sopra il portico. Deve essere stata una donna molto bella, pensai, ma sopratutto dolce. Aveva un'aria materna e, devo dire, un espressione un pò triste ed afflitta. La statua guardava in direzione della “Porta Nuova” della Città delle Preghiere e, istintivamente, ne seguii lo sguardo fino ad incontrare le mura.
Ricordo ancora la prima cosa che pensai in quel momento. Misi dieci pezzi d'oro in mano ad un ragazzo giunto per prendere i miei bagagli, a malapena guardandolo. Naso all'insù, guardavo i bastioni, gli spalti merlati, le statue, le guglie che a migliaia svettavano tra i giardini. Ascoltavo la babele di lingue, ammirando la varietà di ogni cosa. Una voce iniziò a cantare in quel momento un richiamo alla preghiera, diffondendosi nel cielo della sera. Cominciai a sentire qualcosa lungo la spina dorsale, qualcosa che rendeva quel luogo diverso da ogni altro.
Non importa quanto caotica possa sembrare Thyatis, o quanto magnifica sia Sundsvall, o quanto imponente sia Darokin. Quel luogo aveva qualcosa di magico. Pensai...
“Per tutte le Potenze, ma questa è Sigil...”