Edairo, Yarthmont 7 del 1005 AC, soladain
E’ notte. Nel buio della mia camera, ascolto le onde del mare. Rifletto su ciò che mi è appena successo. Sono solo ormai da qualche settimana. Moran, Hierax, Ice e Fëaringel, dopo quella colossale bevuta offerta dall’elfo, sono partiti per il monastero. Non li vedo da allora. So che sono passati di qua, verso i primi di Flaurmont. Erano in incognito, come al solito, e non si sono fatti vivi. Peccato, volevo metterli a parte del mio piccolo progetto; sarà per un'altra volta.
So di avere gli strumenti, seppure rudimentali, per muovermi e perseguire i miei scopi. Eppure resta l’incertezza. Quel luogo mi attira, come una falena il fuoco, eppure mi respinge. Saranno tutte le miglia che ce ne separano, saranno le guerre che di continuo vi scoppiano, sarà che le usanze locali mi appaiono velate dalla leggenda, dal folklore, dall’ignoranza, sarà che sono solo; è un qualcosa che un po’ mi spaventa, ma non abbastanza da dissuadermi.
Vivere per la scoperta, per l’esperienza, per fare ciò che si ritiene giusto. Accumulare migliaia di miglia sotto i piedi, consumarsi le scarpe sul suolo di questa bella Terra che abbiamo, vedere e conoscere, aiutare, dove si può, e vagare. Il viaggio è davvero uno stato della mente, prima che del corpo! Eppure tutti questi indugi mi stanno snervando. E’ tempo di togliere le tende, e in fretta. Il percorso sarà pieno di incertezze ed imprevisti, ed io non ho tanti soldi da potermi permettere di risolvere ogni guaio col danaro. Sono rimasto qui, a Edairo, per finire di salutare tutti. So che tra qualche ora partirò con una diligenza per Kendach. Poi una galera di mercanti di spezie mi traghetterà per la città di Port Lucinius, e devo essere puntuale all’imbarco. Da Thyatis, la decadente e splendida capitale dell’Impero, il primo giorno di Fyrmont un altro veliero mi condurrà ad ovest, verso le terre della magia, degli incensi, dei sacri riti, delle città benedette, dei culti misteriosi, dei mercanti, dei templi dorati, dei conoscitori di stelle.
Ed ora eccomi qua, solo nella mia stanza. Nel cuore della fresca notte, dormo un sonno agitato e leggero. Poi, una sensazione. Zampette. Tante minuscole zampette che mi camminano sul collo, come quelle di un ragno o di un millepiedi. Il ribrezzo mi desta di colpo, nel primo istante di lucidità le lenzuola sono già finite dall’altra parte della stanza. Scatto in piedi. Barcollo, ho un’onda di nausea e le tempie mi stanno battendo come tamburi zembabweni. Ho sonno da morire e sono alto quasi due metri. Il sangue mi è rimasto tutto nei piedi. Afferro il fodero del coltello e agito il braccio. Il pugnale vola fuori dalla sua custodia, rotolando in un angolo e spandendo la sua magica luce blu. Il cuore non ha battuto cinque volte che sono dall’altra parte della camera, nel mio studio. Un riflesso della memoria mi ha guidato là istintivamente. La spada è sulla scrivania, dove l’ho lasciata ieri notte. Me la ritrovo in mano e sto in guardia, senza neanche sguainarla.
Sono solo, nella mia stanza, praticamente in mutande con la spada in pugno. Ma non c’è nessun nemico, non visibile ad occhio nudo. Le zampette erano solo nella mia testa, il vero avversario è dentro di me, e con lei non servono le spade. La paura. Preziosa alleata, temendo flagello, inizio e fine di ogni scontro. Barcollo verso il giaciglio, rimetto in ordine le lenzuola mentre inizio a sudare seriamente. Mi infilo nel letto e ripongo il pugnale. La spada, ora, riposa accanto a me. Immerso nella luce azzurra delle stelle, ascolto le onde.
Stanotte sono solo, e sono pronto a partire...