Silenzio di notte, silenzio di lago, silenzio di presentimenti...
Sullo specchio liquido, scuro, immobile, un’increspatura si allontana dalla riva, la punta di uno stivale è appena lambita dall’acqua.
Poi un vago lucore, come un’iridescenza perlacea macchiata di verde, appena sufficiente per distinguere nuove ombre e un oggetto fermo tra le acque. Le nuvole intanto scivolano via lentamente, pesantemente, liberando qualche stella dal loro umido abbraccio. Ora si vede un po’ meglio. Un palo piantato in acqua, a cinquanta passi dalla riva. Su di esso un vecchio spaventapasseri, drappeggiato in un mantello nero; la sua figura scomposta e sgraziata è quasi quella di un negromante arso sul rogo di una caccia alle streghe.
Ancora luce, nettamente colorata di verde, ed un sibilo mormorato, subvocalizzato, l’acqua che trema e si riempie di rughe, come avesse freddo, come avesse la pelle d’oca.
Minnal Jibbal Alfani Miil, Isrìah, Ya-Bariid, U’skun Fi Yadaa-ì, Idh-Haab "Alal Marnani!"
Luce! Luce verde e crepitare di grandine. La superficie si gela, coperta da un rigido sudario di ghiaccio che si estende e espande e stride e spezza e nel volgere d’un soffio investe il fantoccio, che vola, vola lontano, e mentre vola e ruota e si contorce, si ghiaccia da capo a piedi, paglia , palo, mantello e tutto, e piomba tra le acque ora squassate dalla furia della magia, si attarda sulla superficie, galleggia, sembra implorare pietà, aiuto, una corda, un legno cui aggrapparsi e poi... e poi, inesorabilmente, affonda...
La giungla intorno al Corran Keep, non adusa a simili spettacoli, resta impietrita a guardare la figura del mago che, mano a mano che la luce verde lascia le acque, il ghiaccio, le palme delle sue mani, svanisce per ripiombare nell’oscurità.
"Lurido verme". Detto con quel tono, qualunque insulto avrebbe fatto cagliare il latte d’un colpo. "Questa è la fine che ti aspetta, il giorno non lontano in cui ti avrò a portata di tiro, e assaggerai il mio incantesimo più potente. Di te non resterà nemmeno un capello, ammesso che tu ne abbia, su quel tuo teschio sbiancato".
Il disprezzo di Ice Green si tagliava a fette intorno a lui. Se ne era andato da solo e senza avvertire, in piena notte e in mezzo alla giungla, ad uno stagno in cui, a detta dei servitori del Keep, si poteva pescare molto bene. Non più, dopo stanotte. Che venissero a cercarlo, tutto solo e lontano dalle spade dei suoi amici; avrebbero assaggiato quant’è cattiva la vera magia.
Ice Green prese a passeggiare lungo le rive fangose, lasciandosi il lago a sinistra. Cercò di fissare la direzione del castello del loro nuovo nemico, quasi a voler penetrare l’infernale sottobosco della giungla, rievocando le immagini di qualche giorno prima. La scogliera, le rovine, la nera parete di roccia vulcanica, le bestie e le scimmie ovunque, le tombe e le cripte, i sepolcri ed i cippi funerari, le rovine sepolte dai rampicanti. Tutti quelli che avevano prestato servizio in quel castello, o che avevano tentato di entrarvi di soppiatto, per altri scopi, giacevano sottoterra, un po’ ovunque nel territorio circostante. Tutti, amici e nemici, ora facevano la guardia con le loro carcasse putrefatte o le loro anime dannate, al castello del loro vicino.
Presto, Ice Green lo sapeva, sarebbe toccato a loro. Da quando le incursioni notturne si erano moltiplicate, aveva capito che quel maledetto voleva ben più che un semplice atto di vassallaggio da parte loro, quale gli veniva recato dagli altri due signorotti dell’isola. Vuoi perché aveva paura della loro potenza, vuoi perché voleva mettere le mani su qualcosa che sapeva trovarsi dentro il Corran Keep, il loro vicino aveva probabilmente già decretato la loro morte, in barba all’autorità di re Melanzos III.
"Questa però non è una banale disputa tra signorotti feudali!", bofonchiò Icegreen. "Qui si parla di un dannato stregone, forse un negromante. Ma lo so io perché quel verme spadroneggia qui su quest’isola. Lo fa perché qualcuno glielo lascia fare, altroché".
Il pensiero del mago volò alla Torre di Sybaros, alle Guglie color oro scuro, all’Arcinquisitore Nemrodus.
"Dov’è l’aiuto che ci hai promesso?" ringhiò il mago tra sé e sé. Assumendo una posa atteggiata e teatrale, prese a scimmiottare il fare fosco e minaccioso dell’Inquisitore. Persino la voce sembrava la sua. "Sapete, avete un vicino un po’ pericoloso per i vostri modesti mezzi". Ice Green fece una piroetta e si curvò sulle acque del laghetto. "Tuttavia se io non dovessi occuparmi di una certa faccenda, impegnativa, ma alla vostra portata, forse potrei dedicarmi al vostro minaccioso dirimpettaio". L’imitazione procedeva benissimo. Con un fare misterioso sempre più affettato, Ice Green concluse "Andreste a prelevare per me gli intestini di una bestia vermiforme lunga venti metri, antica di duemila anni, intelligente e feroce come un pescecane, che conosce alla perfezione la sua buia tana impenetrabile e che potrebbe pappare una mucca come fosse un’oliva senza contare i suoi cucciolotti grossi come asini da guerra, le loro nubi d’acido, le trappole, la giungla del Sind, i tagliagole e la guida che una volta fuori tenta di farvi la pelle assieme ai suoi degni compari?". Lo disse tutto d’un fiato, senza respirare, ad alla fine dello sproloquio era paonazzo in volto, ma anche un po’ sollevato e divertito dalla sua performance di imitatore; era servito stare coi guitti per tanti anni, dopotutto.
Di nuovo lucido, Ice Green prese a considerare come simili personaggi si mettessero sempre sulla loro strada. Gente come Nemrodus, che era in grado di rovinarti la vita in un amen, sembrava avere una calamita che li guidava dritti dritti al loro uscio.
Di ritorno dalla missione per accoppare Thaurgh, e poi dopo dall’impresa semisuicida giù a Tritonia, l’Arcinquisitore si era sbottonato un po’ con loro. Aveva elargito beni e nozioni. Aveva parlato a Moran della sua spada Sa-Shull, e lo aveva messo in guardia.
Per meglio ricordare i particolari e le parole di quel pomeriggio a Sybaros, in alto sulla "Guglia di Stella Vivente", Ice Green si sedette su un’umida pietra, sulle rive del lago. Chiuse gli occhi. Ascoltò il silenzio, ed ascoltò i propri pensieri lasciando che si dispiegassero da soli.